San Pietroburgo Live

Fotografia e grafica sono le mie passioni, ho deciso di San Pietroburgo perché amo le sfide.
Dimensione carattere: +

Intervista con Gabriele Lentini

Con il nostro blog da San Pietroburgo andiamo a conoscere più nel profondo il fotografo Gabriele Lentini a pochi giorni dalla sua mostra fotografica a Mosca di cui abbiamo parlato nei giorni scorsi. Gabriele Lentini è un fotografo siciliano che si divide tra Italia e Russia, innamorato del suo lavoro e della sua continua esperienza in terra russa, ha deciso di raccontarsi ai taccuini di Gandolfo Giresi di SPB24.

Foto di Gabriele Lentini

Ciao Gabriele! Per favore puoi dirci "Chi sei" e come è nata la passione per la fotografia?

Diciamo che sono nato circondato da fotografie. Nella mia famiglia la fotografia ha sempre avuto una grande importanza. Uso ancora la macchina fotografica di mio padre, una splendida Rolleiflex biottica 3,5 f, con cui ho iniziato a giocare sin da bambino. Prima di tutti mio fratello maggiore, splendido fotografo con una innata sensibilità per l'immagine, e successivamente i miei cugini hanno aperto per me una dimensione “visionaria” che allora non potevo capire dove mi avrebbe portato. Ancora oggi ci confrontiamo e continuiamo a condividere quella che più che una passione è una forma di comunicazione profonda. Inoltre sono nato in una dimensione sociale ed in un periodo in cui la fotografia era in una fase di intenso sviluppo. Grandissimi maestri, fra cui tanti immensi siciliani, hanno lasciato segni indelebili di un'epoca di sconvolgenti eventi e cambiamenti, epoca in cui la fotografia rappresentava  la conoscenza e la coscienza allo stesso tempo, specchio talvolta crudo della realtà e contemporaneo specchio del “se”. In questo senso la fotografia  costituiva un approccio immediato al “reportage” della vita, allo stesso momento sintesi e futuro orizzonte. Non solo quindi descrizione, ma soprattutto visualizzazione di un evento prossimo, sognato e volutamente cercato, il cui fulcro stava nella esperienza diretta.    

Quali sono le caratteristiche che ami nella fotografia di reportage?

Le caratteristica che amo e ricerco sempre è in primo luogo quella dell'esperienza diretta. La fotografia di reportage è una esperienza bidirezionale. Non è solamente il momento in cui il fotografo cattura un momento, ma anche quello in cui si compiono nuovi passi. In questo senso la fotografia di reportage rappresenta ogni volta una forma di nutrimento e crescita in tutti i sensi.

Attualmente viviamo in un momento storico differente, in cui parte della conoscenza fisica è stata sostituita da una conoscenza virtuale. Diciamo che si è aggiunto un altro elemento che può costituire una grande chance creativa, nell'unione e rimodulazione, o un grande problema, nella sostituzione dell'uno con l'altro. In questo senso la coscienza del “se” diventa ancora più importante.

Foto di Gabriele Lentini

Da bambino guardavo con occhi sognanti le fotografie di Walter Bonatti, grande esploratore di “Epoca”, recentemente scomparso, che mostrava posti sconosciuti e cercavo di percepire e catturare il modo in cui li aveva affrontati. Quel bambino continua a cercare su internet posti e mezzi per nuovi sogni contemporanei. 

Le tue foto sono state pubblicate in grandi gallerie nel mondo: che effetto ti fa poter condividere ciò che vedi a così tante persone?

L'effetto che mi provoca è quello di cercare ancora e di condividere una grande speranza. Non mi interessa tanto l'ammirazione estetica o fotografica di per se, e meno che mai quella personale, quanto piuttosto la possibilità di comunicare con tutti e di ricevere da tutti. Il fotografo in questo senso non dovrebbe mai “imporre” i suoi scatti e dovrebbe essere sempre pronto ad ascoltare sinceramente.

In un mondo dominato dalla preponderanza, spesso violenta, dell'immagine il fotografo deve sviluppare ancora di più il dialogo in tutte le sue forme e prendere coscienza dell'enorme responsabilità che ha. Dovrebbe incentivare il dialogo, e di conseguenza la coscienza critica, per non contribuire all'assuefazione all'immagine.

Da siciliano sono rimasto meravigliato dal tuo progetto "La Mattanza" nel quale racconti attraverso i tuoi occhi questo rituale. Cosa ti ha spinto a fare questo reportage?

Molti dei miei progetti sono nati dalla voglia di restituire verità ad eventi, luoghi e gesti della mia terra che sono spesso stati violentati da facili interpretazioni di comodo o dalla incapacità di leggere la profondità della storia e della magia della Sicilia. La Mattanza, oltre ad avere una storia millenaria che attraversa tutte le dominazioni e le culture che sono state presenti in Sicilia, condensa in se tutta la magia della nostra terra. Il termine “Mattanza” però è stato spesso usato per descrivere un eccidio cruento, spesso di tipo mafioso. Questa è una tipica operazione di  "ignoranza moderna” in cui l'unica cosa vera è l'incapacità, anche compiaciuta, di “vedere” limitandosi al “guardare”. Il sangue, elemento tipico della mattanza, non ha nulla a che fare con l'animo mafioso ed è assolutamente privo di ogni forma di violenza.

Si tratta invece di una forma animistica di intensa preghiera in cui il tonnarota prova un profondo sentimento di rispetto nei confronti dell'animale. Gli antichi Rais dicevano che “il tonno si deve pescare quando il Signore lo manda”. Sacrificio rituale, quindi, da cui nasce la vita e non voglia cruenta di togliere la stessa. Prova ne sono le antichissime “cialome”, i canti religiosi con cui si invoca la protezione della divinità, la grande ipnosi collettiva che è preghiera stessa, il ruolo di “illuminato” del Rais, che prima di essere il capo dell'azione di pesca è la figura carismatica che riesce ad entrare in contatto con la natura e le sue divinità. La stessa intenzione mi ha mosso a realizzare il reportage su Corleone, a proposito della quale si conosce solo la reale storia pluridecennale della mafia più cruenta, senza fare mai minimo accenno alle grandiose positive esperienze che questa città è riuscita a produrre. Un esempio su tutti è costituito dal monastero dei Francescani Rinnovati, che da più di 40 anni vivono e pregano in assoluta povertà sulle orme di Francesco d'Assisi, all'interno di un vecchio carcere medioevale, per il bene della città e di tutto il mondo.  

Nella tua esperienza lavorativa in Russia, hai avuto modo di incontrare molte personalità importanti, quali di queste ricordi più piacevolmente?

Ricordo con grandissima emozione l'incontro con il Generale Mikhail Timofievich Kalashnikov. Devo ammettere che ero intimorito dall'idea di incontrare una figura storica di così alto spessore. Il mio massimo stupore è stato comprendere come la realtà storica sia così diversa dalla rappresentazione che ci è stata trasmessa. L'incontro con Kalashnikov ed i veterani di guerra, parallelamente a quanto detto per la Sicilia, mi ha restituito la verità storica e l'intensità della stessa, che mi era sconosciuta. Ho avuto modo di incontrare e fotografare un grande uomo la cui prima ed irremovibile intenzione è stata quella di difendere la propria patria.

Quello di cui non ci si rende conto spesso è che la verità può essere ancora più sensazionale della rappresentazione artificiale. Analoghe emozioni mi ha dato l'incontro con la gente comune, in primo luogo i veterani di cui ammiro l'orgoglio, od esperienze diverse, come vivere nei monasteri Buddisti in Buriatia.

Per un fotografo di reportage come te, che differenze ci sono tra lavorare in Russia ed in Italia?

La prima differenza sta nelle dimensioni geografiche. La vastità del territorio russo, per attraversare il quale ci  possono volere anche dieci giorni di treno o dieci ore di aereo,  impone di ripensare il proprio modo di vedere le cose in un'altra dimensione.

Questa vastità impone la conoscenza di molte e differenti visioni del modo di vivere ed operare, all'interno dello stesso paese. Etnie, tradizioni, luoghi diversi vanno conosciuti ed interpretati a fondo prima di  fotografare. Un'altra importante caratteristica, più che una differenza, sta nella profonda attenzione che il popolo russo in generale riserva nei confronti dell'arte. Una diffusa preparazione di base li rende sempre attenti alle diverse proposte operando una costante valutazione critica.     

Gabriele, cosa ti ha insegnato la Russia?

Ogni giorno speso in Russia mi ha insegnato qualche cosa. Vivere qui può essere estremamente impegnativo ed allo stesso tempo gratificante. Questa è una terra dove tutto è possibile, e perciò ti mette alla prova senza sosta. La Russia mi ha dato una vera e profonda coscienza di me stesso, soprattutto in termini professionali. Mi ha insegnato a non arrendermi mai ed a credere sempre di più in me. Ha preso quel bambino per mano è l'ha condotto verso nuovi sogni.

 

Vota:
Incontro con Gianguido Piani
Il crescente fenomeno del sushi da asporto a San P...

Forse potrebbero interessarti anche questi articoli